Una “epidemia” di santità

Sono passati cinque anni dalla morte di Chiara Lubich, periodo minimo per dare inizio a un eventuale processo di beatificazione. Intervista a Giancarlo Faletti, copresidente dei Focolari
Il funerale di Chiara Lubich nella basilica di San Paolo.

Giancarlo Faletti, copresidente dei Focolari: che cosa ha intenzione di fare il Movimento dei Focolari a proposito del processo di beatificazione per Chiara Lubich?
«Piuttosto che dire “processo di beatificazione” preferirei parlare di “causa di canonizzazione”, espressione che richiama un’esperienza, una ricerca di conoscenza. Perché il riconoscimento della fama di santità di qualcuno fa entrare una dimensione dinamica, che sollecita un contributo di tutti, pur seguendo le norme della Chiesa cattolica. “Canonizzazione”, poi, richiama “canone”, parola che vuol dire misura, garanzia di verità, termine di confronto, modello, e che, in questo caso, si riferisce a una persona che, dopo apposito processo per decisione della Chiesa, può diventare modello, stimolo nel cammino.
«Ora, che cosa ha intenzione di fare il Movimento? Certamente Chiara, pur ritenendosi un semplice strumento nelle mani di Dio, ha scritto con la sua vita pagine specialissime in ambito ecclesiale ed umano; e siamo ben consci di dover porre tutte le nostre forze a servizio di quest’esperienza fondativa. Se qualcosa di speciale è avvenuto nella vita di Chiara è giusto che venga evidenziato a servizio della Chiesa e dell’umanità. Nella vicenda dei protagonisti cristiani, come pure in quella di Chiara, si intuisce la presenza di un unico protagonista, Dio. Nel 1958 Chiara si recò a Bruxelles per visitare l’Expo, il massimo dell’arte e della tecnologia per quell’epoca. Tornò entusiasta, ma raccontando quell’esperienza, col pensiero rivolto al convegno estivo (la Mariapoli) che di lì a poco si sarebbe tenuto a Fiera di Primiero, disse: «Questa Mariapoli sarà una Expo di Dio». Anche in questa vicenda Dio appare più che mai come il vero protagonista».

Una delle caratteristiche dei Focolari è la presenza al suo interno di cristiani non cattolici, che hanno una visione talvolta profondamente diversa sulla proclamazione della santità di una persona. Come tenete conto del sentire di queste persone?
«Credo che la risposta stia in quanto appena detto: stiamo parlando di una vittoria di Dio, dove il protagonista è lui e solo lui. Questo ci dà una profonda libertà. Mi sembra così importante che in questo lavoro di insieme ognuno possa dare il suo contributo e possibilmente considerare come proprio il risultato finale. Esso è demandato alla Chiesa cattolica nel suo riconoscimento finale, ma sarebbe auspicabile che anche i cristiani di altre Chiese possano ritrovarsi in quanto verrà poi eventualmente affermato.
«Penso che questa nuova esperienza non abbia da arricchirsi della possibile grandezza celebrativa della beatificazione o canonizzazione, ma abbia da evidenziare la presenza di Dio in una persona, intuire cosa ha operato in lei. Mi ritrovo in ciò che Benedetto XVI diceva in Germania ai giovani, parlando della santità: come una fiamma di candela brucia a spese della cera, così la santità è una vita che si consuma per Dio. Ciò è ben più grande, direi, della certificazione della santità».

Come tenere conto altresì della presenza di tante persone aderenti al Movimento pur essendo fedeli di altre religioni o addirittura non credenti?
«Il discorso è analogo. Pure i fedeli di altre religioni e uomini di convinzioni non religiose, che avendo nella vita di Chiara trovato “casa” presso di lei, dovrebbero non sentirsi esclusi ma continuare a trovarla non solo nella persona che ha vissuto nel tempo, ma anche nell’esperienza che eventualmente verrà proclamata esemplare, attingendone stimoli per la loro ricerca del bene e della verità».

Chiara Lubich nel corso della sua vita ha ripetutamente parlato di una “santità collettiva” o comunitaria, in qualche modo diversa dalla “santità individuale”. Il processo di beatificazione non rischia di annullare il senso della “santità secondo Chiara”?
«Chiara un giorno si chiese: “Se io non mi faccio santa, che cosa vi lascio?”. In questa dichiarazione, che l’aveva portata quasi alle lacrime, a sottolineare l’esigenza che Dio fosse tutto nella sua vita, vi è già una dimensione comunitaria. Quella che avevamo dinanzi allora non era una Chiara preoccupata della sua propria santità, del particolare rapporto tra lei e Dio, ma della santità della comunità. “Che cosa vi lascio?”: intendeva dire che la santità era un “patrimonio di famiglia”. Questo clima di santità, questa dimensione di famiglia spirituale che ci lega gli uni agli altri è più che evidente, perché questa è stata la sua intera vita».

È così importante che il Movimento prenda l’iniziativa, oppure non sarebbe meglio lasciar fare all’iniziativa di qualche esponente esterno ai Focolari, come il vescovo del luogo di nascita o di residenza?
«La normativa corrente prevede che possano essere anche altre entità a promuovere una causa del genere. Ma in virtù di tutto quello che abbiamo detto, sono i figli di questa madre che possono testimoniare al meglio ciò che è avvenuto. Certamente ci sarà il riscontro di tante altre entità, ma proprio perché i più vicini testimoni di ciò che è avvenuto sono stati i suoi figli, mi sembra logico che inizino loro».

Sappiamo che un certo numero di altri processi di beatificazione riguardanti membri dei Focolari sono stati avviati, primo fra tutti quello di Igino Giordani. A che punto sono?
«Sono circa una ventina gli altri processi in corso, di cui la metà ha già terminato la fase diocesana. Una fioritura impensata, certamente non cercata. Questi processi sono partiti a volte per iniziativa di persone estranee al Movimento, ma a loro modo tutti testimoniano la vitalità di un carisma che è stato di nutrimento a tanti. Certamente ci sta particolarmente a cuore la causa di Igino Giordani: è terminata la fase diocesana e adesso il caso è all’esame della Congregazione vaticana, mentre si sta preparando la positio per il successivo esame. È una causa su cui abbiamo lavorato tanto, essendo Giordani un anello unico e fondamentale in questo inizio di esame su Chiara. In fondo, è stato il primo a partecipare e testimoniare ciò che di grande è avvenuto nella vita della fondatrice».

Chiara Luce Badano, salita agli onori degli altari poco dopo la morte di Chiara Lubich vi ha “preparati”. Come valutate questa esperienza?
«La causa di Chiara Badano è stata promossa non dal Movimento, ma dal vescovo di Acqui Terme, mons. Maritano, e seguita attraverso il postulatore e, in particolare, grazie alla vice-postulatrice, Maria Grazia Magrini, che  hanno svolto un lavoro enorme anche con l’appoggio del Movimento C’è poi da dire che è stata una sorpresa, come penso lo sia stato per la Chiesa, il momento della beatificazione che ha visto 22 mila giovani testimoniare con la loro presenza il valore della vita esemplare della ragazza di Sassello. Quest’esperienza sottolinea in modo eminente la maternità di Chiara Lubich nei confronti di Chiara Luce Badano e la figliolanza di quest’ultima nei confronti della prima. Tant’è che il cuore della vita di questa ragazza è stato quel Gesù Abbandonato che era il cuore della vita di Chiara Lubich».

Ma allora il Movimento apre o no la causa?
«La causa l’aprirà eventualmente il vescovo di Frascati, ma il Movimento vuole essere attore, parte in causa, e ha già manifestato a mons. Raffaello Martinelli il suo desiderio di aprirla, appena possibile, presumibilmente nel giro di 12-18 mesi».

Padre Bove, grande esperto della Congregazione recentemente scomparso, definiva il Movimento una “fabbrica di santi”. Una santità diffusa, quindi…
«Che si esprime soprattutto nel trionfo di Dio nella vita delle persone, in una dinamica di amore. Questo tipo di santi “alla focolarina” non mi fa tanto pensare ad un culto, quanto mi fa augurare che queste persone “ammalate di amore di Dio e per il prossimo” lo comunichino ad altre. Il mio augurio è che questa santità diventi epidemia».

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